Non per un fatto di pigrizia (non ne soffro) ma perché mi sembra il tema valga la pena di trovar lettura anche al di là dell'àmbito di una provincia del nostro Nordest, utilizzo la rubrica di questa settimana per riprodurvi una mia intervista comparsa su «Voce isontina», settimanale di Gorizia, nella quale ho risposto alle domande di Greta Sclaunich su un'argomento localmente assai sentito, fonte di acceso dibattito e anche di molto affilate polemiche. Argomento che offre comunque il destro per considerazioni di carattere linguistico-culturale pacato e pure più generalmente proponibile che non limitato a una sola delle nostre Regioni. Il titolo che all'intervista aveva dato in pagina questo settimanale é «Marilenghe: un diritto o un intralcio?». Marilenghe, in friulano, significa lingua madre. Ecco il testo completo delle domande e delle risposte.

Cosa pensa della scelta della Regione Friuli-Venezia Giulia di introdurre l'insegnamento della lingua friulana nella scuola dell'obbligo?

Una volta che al friulano è stato riconosciuto per legge, da che era considerato dialetto, lo status di lingua, è inevitabile e giusto che esso acquisisca dei diritti di tutela. Non sostitutivi dell'italiano ovviamente, ma di affiancamento ad esso, e dunque pure di tipo scolastico. Ritengo però anche che il suo studio non possa essere reso obbligatorio all'universo dei residenti, così come non è obbligatoria la frequenza scolastica all'insegnamento della religione cattolica, dal quale si può essere esentati. Per i miei figli, non battezzati (e che lo sono poi stati, per loro autonoma legittima scelta, da adulti allo scopo di contrarre matrimonio in chiesa per rispetto delle convinzioni delle famiglie delle loro rispettive spose), l'esenzione io l'ho sempre giustamente ottenuta. Non vedo perché analogamente una famiglia di cittadini italiani e dunque di lingua italiana, ove abbia acquisita residenza in un Comune friulano, non possa ottenere lo stesso tipo di esenzione per i propri figli, quando l'italiano è comunemente parlato e scritto in tutto il Friuli e il friulano è usato dai soli residenti friulani (e non sono proprio tutti) che desiderano farlo per comunicare scioltamente fra loro e anche come valenza culturale. Se vogliamo poi sottolineare un caso limite, sarebbe veramente afflittivo per un immigrato extracomunitario acquisente cittadinanza in quest'area, che ha già il doveroso problema di imparare l'italiano, gravarlo dell'obbligo di imparare per forza, confusionandolo in modo non indifferente, due lingue contemporaneamente.

Scopo di questo provvedimento è la preservazione, insieme alla lingua, della cultura friulana. Ma se il bambino non ha modo di applicare nella sua vita quotidiana la conoscenza di detta lingua quella cultura potrà essere egualmente salvata?

Io credo di sì, naturalmente. In campo linguistico nulla può essere imposto per legge: le lingue nascono, vivono, mutano, si ibridano e muoiono a seconda di circostanze geopolitiche e della pratica d'uso (il friulano che si parla a Cividale, per dire, non è lo stesso che si parla a Tolmezzo). Che il bambino adoperi o non adoperi la marilenghe, ciò non gli impedirà di conoscere e mantenere le tradizioni della propria terra e di non sconnettersi dalle radici che vi affondano. Nella mia città io parlo in dialetto triestino con i miei amici e in italiano quando sono in aula. Mi pare che sia naturale e mi trovo bene così. Quelli che vanno evitati sono i circuiti chiusi: una volta mi hanno regalato una grammatica friulana ma è stato un apprendimento cui, pur con la più buona (e curiosa) volontà, non ho potuto attingere perché era scritta in friulano, mentre è chiaro come solo su una grammatica scritta in italiano io potrei apprendere il francese o qualsiasi altra lingua. La Rai di questa Regione dirama programmi in italiano, in sloveno e in friulano, ma essi non hanno evidentemente la medesima valenza. Quelli in italiano sono compresi in tutta la Regione e hanno interesse anche per gli italofoni del Quarnero, dell'Istria e della Dalmazia. Quelli in sloveno sono rivolti alla minoranza etnica triestina/goriziana/carsica ma trovano interesse anche oltre la frontiera che abbiamo ad Est. Quelli in friulano non sono compresi al di qua dell'Isonzo e nella propaggine veneta occidentale, anche se nella maggioranza territoriale della Regione sì. Appagano evidentemente l'Udinese e la parte prealpina e alpina della Regione, ma io a Trieste non li capisco (nel senso che non li decodifico lessicalmente e foneticamente) ed è un peccato; perché sarebbe mio interesse di coregionale penetrare anche nel tessuto culturale friulano ed essere informato della sua sostanza attuale e trascorsa; ma se non lo si fa nella nostra lingua comune come fa quella ad arrivare sino a me?

In altra occasione lei ha accennato al rischio che si possano così creare barriere culturali nuove. Ne potrebbero conseguire delle negatività sociali sul territorio?

Bèh, questo rischio io lo vedo. I friulani sono circa ottocentomila, in Regione, e i giuliani neppure trecentomila (non so quantificare la presenza veneta nel Pordenonese). E anche il baricentro economico - finché Trieste con l'allargamento dell'Unione Europea ad Est non tornerà ad essere una città-snodo e la grande indispensabile entità portuale che già era stata prima che l'ingresso in Italia nel '19 e il reingresso in Italia nel '54 la penalizzassero gravemente - è in Friuli (agricoltura e tessuto industriale) che risiede. Se però, come sostiene per esempio molto drasticamente il presidente della Provincia di Udine ed ex Rettore di quella Università prof. Strassoldo, "elemento FONDANTE di questa Regione è LA LINGUA" - concetto nel quale scorgo con preoccupazione elementi anche abbastanza sciovinisti di rivalsa egemonica - e dunque sotto questo profilo non condivisibili - potrebbe verificarsi anche l'assurdo che mentre con l'UE sta per venir meno il confine che soffoca Trieste a Oriente un altro invisibile e molto fermo ne possa sorgere lungo l'Isonzo. In una società che si avvìa ad essere un po' dovunque multietnica il diritto a ciascuna lingua patria va indubbiamente salvaguardato, ma guai se non vi si intrecciano le dovute aperture. Dopo l'italiano, anche da noi lo studio più indispensabile è oggi quello dell'inglese, lingua che sta assumendo quel ruolo di comunicazione universale un tempo posseduto dal latino. Resta però che la vita e l'uso corrente delle lingue vanno fondamentalmente affidati alla spontaneità singola e collettiva, che è insieme, come ci insegna la storia, insopprimibile ed evoluibile.

C'è chi consiglia di utilizzare le ore di lezione di friulano, invece che per la grammatica, per le tradizioni e i costumi su cui questa cultura si fonda. Come ritiene che questo insegnamento possa esssere sfruttato al meglio?

Questo è il consiglio che darei anch'io. Prima c'erano i friulani come parte della popolazione del Veneto. Ora esiste il Friuli da quando, persa cinquant'anni fa col trattato di pace quasi tutta la Venezia Giulia assorbita nella ex Jugoslavia, fu compensato territorialmente a Ovest il perimetro della nostra nuova Regione. Includendovi un'area per il passato abbastanza povera e perciò sempre stata serbatoio di emigrazione verso l'America e il Nordeuropa. L'autonomia ne ha agevolato un progressivo irrobustimento economico, oggi esemplare anche per la vivacità dell'iniziativa imprenditoriale. Il recupero di una propria autoctona storia nell'àmbito di un territorio amministrativamente riconfigurato costituisce dunque stimolo più che comprensibile, in quanto obbediente a una fondatissima logica culturale. Da riconoscere proprio alla stregua di un bisogno come tale, e in sé sano. Quel che è probabilmente un errore è forzare in modo eccessivo un riconoscimento di pur esistenti ascendenze distintive celtiche rispetto a quelle veneto/slave; indubbiamente presenti in modo marcato ma non certo ragionevolmente ed accettabilmente producibili ragioni attuali di separatismo. Questa è la zona europea in cui i Celti, in fondo, sostarono di meno; e il ceppo linguistico originariamente ladino, comunque misto, che trova proprio qui la sua area più estesa, è caratterizzante, come in Svizzera o nel Bellunese, di enclaves, mentre il più robusto ramo gaelico non ha avuto epoche d'ombra e mantiene ancora adesso carattere di lingua nazionale, per esempio in Irlanda. Dedicare dunque, il che è positivo, un insegnamento scolastico alla friulanità assume più valore e più utilità culturale e anche pratica se, invece di riguardare esclusivamente la lingua, acquista connotati più vasti e profondi attinenti un tipo particolare di civiltà, a suo tempo anche fiorente e da non mandar quindi dispersa né come conoscenza né come proiezione di requisito.

Il problema del friulano si inserisce in uno più vasto, che include quello del bilinguismo italo/sloveno. E' giusto contestarlo in un'area che è da sempre caratterizzata da multietnìa e quindi da interscambio culturale? Qual è la sua opinione in merito?

Qui la questione si fa ancora più delicata. Perché lo sloveno non è una lingua di enclave, come il friulano in Italia, e non serve quindi solo per comunicare all'interno di una specifica comunità territoriale non coincidente con confini nazionali. E solo fra i componenti di essa, trattandosi di idioma non conosciuto e non studiato all'esterno. Lo sloveno, come il tedesco in Trentino-Alto Adige, è invece la lingua nazionale di un Paese confinante la cui etnìa sborda nel nostro come la nostra nel suo. Il bilinguismo è dunque, in questo caso, una necessità non solo culturale ma altresì politica, che tocca anche al diritto internazionale di salvaguardare. E che ha dovere di reciprocità fra i due lati di questa frontiera. Opporvisi è dunque non solo controproducente ma pure (è una metafora, naturalmente) suicida. Come esiste un bilinguismo sloveno/italiano a Capodistria e croato/italiano a Pola e a Fiume, è giusto e indispensabile vi sia il corrispondente bilinguismo italiano/sloveno nelle frazioni periferiche di Trieste e in tutti i Comuni della sua provincia. Nelle targhe e segnaletiche stradali, nei documenti municipali e nell'ordinamento scolastico. Vale anche per il tedesco in prossimità dei valichi alpini italo-austriaci. Problema particolare è quello del Goriziano, zona dove a rigore sarebbe il trilinguismo (italiano, sloveno e friulano; lingua nazionale la prima, lingue locali le altre due) a dover vigere a tutti gli effetti.