Questa è la rubrica numero 50, siglata dunque, dopo più d'un anno di regolare uscita, da un cospicuo ordinale tondo. Da essere quindi ormai bastevole a libro, o meglio universitaria dispensa dedicata a comunicazione, linguaggi, tecnologie, metodologia didattica. La dedicherò pertanto, un'altra volta, a un tema corsuale complessivo

C'era una volta un programma tv che si chiamava «Lo Zecchino d'Oro» ed era una sorta di concorso canoro per bambini il cui conduttore, Cino Tortorella, vestiva un costume da paggio (farsetto a sbuffi, braghette corte idem, calzamaglia, collettone, mantellina) e s'era dato il nome di Mago Zurlì. Meno aureo mago, e molto, di quello è stato un altro Zecchino, recente ministro di questa Repubblica, autore di una riforma universitaria ahimè ancora in stato di vigenza, alla quale vengono attribuite oggi sempre più fittamente ed autorevolmente ma purtroppo ex post la destrutturazione dall'eccellenza verso il marketing dell'istituzione Università e l'avviamento alla sua perdita di ruolo nel nostro paese. Aggiuntavi poi la drastica parallela riduzione delle risorse finanziare pubbliche necessarie a sostenerla. A quanto in termini più generici avevo già scritto nell'ultima di queste mie rubriche prima delle vacanze natalizie e d'anno nuovo («Riformate questa riforma» ne era il titolo) aggiungo ora un supporto esemplificativo teso, nella sua inequivocabilità, a dargli ancor maggiore evidenza.

E' un solo episodio che riferisco, ma basterà perché è avvenuto nel corso di una riunione (formale) di docenti, non segreta perché svoltasi in presenza della rappresentanza studentesca. Si alza il titolare di Lingua Araba e, in sintesi, dice più o meno questo: «Alcune decine di miei studenti m'hanno chiesto di fare un appello di esami subito alla fine del primo modulo del corso e io ovviamente gli ho risposto: ma quanti esami volete fare? Ne facciamo poi uno complessivo, no? Però mi è stato replicato che gli altri sei crediti, cioé i due moduli residui, erano già stati investiti, come piano di studi, in altre materie. E quindi che praticamente loro con questa materia qui avevano finito». (Per chi leggesse queste righe dall'esterno dell'ambiente universitario una spiegazione a questo punto è dovuta, anche se vi resterà incredulo: secondo questa legge Zecchino ciascuna materia è divisa in tre moduli pari per numero di lezioni, e ciascun studente ne può scegliere un massimo di due, e quindi anche uno solo, ma non tutti e tre). Facciamo proseguire il collega: «Ora ditemi voi . Dopo sole venti ore di lezione d'arabo cosa chiedo io a questi ragazzi all'esame? L'alfabeto e basta? Neanche la struttura basale della lingua posso avergli compiutamente comunicato».

La risposta che ha ottenuto da chi presiedeva la riunione è stata, sempre in sintesi, la seguente. Che ciò la legge prevedeva, che ciò era dunque quanto andava ottemperato, e che pretenderlo era un diritto ineludibile degli studenti. Punto. Nel silenzio generale quel docente ha scosso ripetutamente la testa e si è seduto. Perché questa norma non riguarda solo la lingua araba ma ogni altra materia, dalla filosofia morale al diritto costituzionale alla storia dell'arte alla sociologia dei mass-media. Eccetera. E riguarda, beninteso, anche le Facoltà non umanistiche. Tale norma era dunque appesa al collo di ciascuno dei colleghi presenti. Non ho chiesto in quell'occasione la parola perché avrei solo ripetuto osservazioni, anche esasperate, già da me espresse in altre precedenti occasioni formali ed informali. Ma reputo sia anche questa telematica una sede in cui porsi il problema di quale non lieve responsabilità si sia assunto chi abbia approvato, licenziandolo in questi termini, un piano di studi contenente venti solitarie e quindi inutili - ripeto che si tratta comunque solo di un eloquentissimo esempio - ore d'arabo per un totale di tre crediti sui centottanta di cui ogni studente si deve far carico.

Si può del resto immaginare quanti piani di studi siano così finiti col risultare basati non su funzionalmente compattata finalizzazione vocazionale ma su un patchwork di losanghe d'Arlecchino che costituiscono più tessitura contabile sommante spezzoni di materie che realmente omogeneo indirizzo. I crediti non dovrebbero essere disseminatamente puntati su un così vasto quadro di discipline come fossero fiches sui riquadri verdi d'uno di quei tavoli al cui centro gira una pallina. Quando si sfogliano libretti di matricola gremiti di esiti d'esame da tre crediti l'uno, interrotti magari da qualcuno da sei, non avrebbe nessuna importanza neanche il brillare accanto a ciascuno magari una serie di 30/30. Perché prefigurano laureati che andranno sul mercato infarinati di tutto, avendo magari esaudito qualche curiosità particolare di toccata-e-fuga e senza possesso pieno, invece, di quel minor numero, ma robustamente organico, di nozioni basiche necessarie ad approdare validamente al mercato del lavoro. Le specializzazioni più ristrette, per chi le vuole, vengono dopo questi primi tre anni, per seconda laurea o per master.

Va detto comunque anche che in qualche caso e in qualche Facoltà di qualche Università, valendosi di un residuale margine autonomo di poteri statutari, taluni responsabili accademici abbiano alla fine autorizzato che una materia possa essere seguita per intero, in tutti i tre moduli in cui era stata come un salame affettata, e portando dunque unitariamente a casa tutti e nove i suoi crediti. Ma c'è voluta forte pressione di studenti più convinti di quel che volevano apprendere, e anche l'abbaiare di qualche docente meno passivamente conformista, meno burocraticamente ossequiente. Tra i quali impudicamente mi annovero (ma ho fatto così anche nel resto della mia vita e in altre funzioni).

Solo se a questo dramma, che spiazza gli Atenei italiani dai loro compiti, si potrà fornire rimedio legislativo si potrà impedire che interi caricatori di zecchini di piombo fucilino le aspirazioni di valore della propria laurea in cui centinaia di migliaia di giovani ripongono energia e speranza. La gabbia fatta di minigabbie di cui sono attualmente indotti a fare, in modo oggettivo, così dispersifico uso per ottenere una laurea triennale targata Zecchino, li ha trasformati in mosaicisti. Bisognerebbe riuscire a farli tornare a fondamenta in cui, nel loro interesse, si versi di nuovo dell'assemblante cemento. La postmodernità può prevedere tante cose ma un supermercato della cultura dove, paradossalmente invece, "paghi tre per avere due", bèh, ormai cominciano a dirlo in tanti che è pericoloso per questo Sud dell'Europa.